
La Merenda Sinoira e l’Erbaluce di Caluso
20 giugno 2021
55 € a persona (min. 20 persone)
La Quota comprende
– Bus a/r partenza da Sesto Calende ore 14.00
– Accompagnatrice Ipotesi ‘n Rosa
– Passeggiata tra i vigneti della Tenuta Fontecuore
– Merenda Sinoira, accompagnata da una degustazione di vini della tenuta
– Assicurazione
PROGRAMMA
Partenza ore 14.00 da Sesto Calende (Abbazia di San Donato) e arrivo previsto alla Tenuta Fontecuore, a San Giorgio Canavese, per le ore 15.30 circa.
Ad attenderci ci saranno Maria Luisa e Stefano che ci accompagneranno per una passeggiata fra i vigneti, di circa un’ora e mezza (consigliamo scarpe comode e chiuse) raccontandoci la leggenda dell’Erbaluce di Caluso, il vitigno principe di quest’area del Canavese, la storia della loro dimora storica e la filosofia della
Cantina Fontecuore, un sogno diventato realtà all’inizio del nuovo millennio.
Fontecuore si trova in un parco delle biodiversità di 15 ettari, di cui 11 ettari accorpati, con oltre 3000 essenze rare ed autoctone, alberi secolari, laghetti sorgivi, flora e fauna variopinta. E’ un’azienda a conduzione biologica certificata, da cui si vinificano pregiati vini e spumanti metodo classico Fontecuore, dai lunghi e appassionati affinamenti.
Nella dimora storica le cui fondamenta risalgono all’XI secolo, si respira la storia: set cinematografico di film e serial televisivi, diventerà lo scenario della nostra Merenda Sinoira, accompagnata da una degustazione di vini della tenuta.
Rientro a Sesto Calende in serata
LA MERENDA SINOIRA, ANTENATA ILLUSTRE E CONTADINA DELL’APERITIVO
Prima che il brunch e l’aperitivo iniziassero a scandire i tempi della società bene, e molto prima che i pasti diventassero un’occasione di incontro invece che una necessità nutritiva, il concetto di aperitivo-cena esisteva già. Quello che oggi è così definito per dare una consistenza nuova al bicchiere assaporato prima di un pasto principale, un tempo rappresentava un’occasione quasi istituzionale che, nel Piemonte rurale degli anni che furono, aveva un nome tutto suo, arrivato fino ai giorni nostri con tutto il carico di simbologia che la storia gli ha offerto in dote: merenda sinoira.
Per capire cosa sia la merenda sinoira occorre partire dal contesto in cui nasce. Il Piemonte delle campagne dove il tempo è scandito dalle campane e dal lavoro.
Bisogna andare indietro fino alla seconda metà del 1800 e immaginare una società contadina, un mondo senza elettricità, un’Italia povera e un Piemonte nel quale il fiasco di vino e un pezzo di pane, nonché il balin delle bocce e un balun da prendere a pugni, rappresentano il motore primo dell’aggregazione sociale.
Nell’alimentazione la qualità era rappresentata dalla varietà (la carne era un lusso), la salubrità era garantita dalla provenienza (l’orto di casa era la fonte principale e quasi esclusiva, assieme alla Provvidenza) e la quantità era sinonimo di accoglienza (dove la povertà è la regola, l’abbondanza è l’eccezione). Ma in un
mondo costruito su queste regole, il lavoro viene ad avere un valore di eccezionale spessore: è la misura della dignità, è lo specchio dello spessore morale, oltre che fonte univoca di ricchezza: non c’è denaro e non c’è risparmio, perché dove c’è povertà sono il lavoro e la roba a costituire la speranza per il domani.
Erano pertanto tre gli elementi a dettare i ritmi della giornata: l’alternarsi delle stagioni, il ciclo del sole e le faccende lavorative e anche i momenti in cui rinfrancarsi e riprendersi dalle fatiche, quindi i pasti.
Nei mesi estivi, quando il tramonto è tardivo ed il lavoro nei campi è molto, occorre sfruttare tutto il tempo disponibile per il bestiame e per la raccolta. Ed è in questo contesto che nasce la merenda sinoira. Dopo ore di lavoro sotto il sole, quando la fatica fisica e mentale iniziavano a pesare eccessivamente sulle spalle e
sotto il cappellino di paglia degli uomini, ecco arrivare dalle case le donne con il loro fagotto: un fazzoletto contenente non solo il nutrimento, ma anche un modo per rinfrancare dalla fatica, aggiornare sulle novità di casa e cementare l’unione famigliare nel rispetto dei ruoli arcaici dell’uomo-padre nei campi e della donna-madre in casa. Merenda sinoira: arriva a metà tra la merenda e la cena, ma si situa a metà tra i due concetti anche a livello quantitativo. Merenda, vista l’ora, ma sinoira, traducibile in tendente alla cena.
Come l’apericena, insomma, ma in un mondo diverso, con valori diversi, con cultura diversa.
Pane contadino. Salame. Formaggio. Un fiasco di vino. Della frutta. Poi i lavori riprendono ancora per qualche ora, quando l’incedere del tramonto consiglia di tornare alle proprie case.
Dietro il recupero della merenda sinoira c’è qualcosa di più del recupero di un’antica abitudine. La semplicità del cibo, la lentezza del pasto e la natura conviviale dell’incontro riportano a un modo differente di approcciare il cibo. Non a caso il nome è rimasto quello della sua lingua originale: il piemontese. Nel nome, infatti, si racchiude un’epoca, una cultura, un contesto. Nel nome c’è il profumo dei campi d’estate, la sensazione dell’aria al tramonto sulla pelle, l’umore della fatica, il calore della famiglia, la sete che allarga la gola, l’eco di vallate isolate dal mondo, dialetti di comunità chiuse, prediche di parroci in veste nera,
chiacchiericcio di osterie, essenze di ingredienti da cortile. Se il cibo è cultura e se la cultura è storia, la merenda sinoira è un apericena arricchito di intelligenza storica. Il che rende tutto più autentico e vero, più gustoso e saggio, perché ricorda a ogni boccone che il concetto di mangiare non è stato lo stesso in ogni luogo, in ogni epoca e in ogni circostanza.
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